La funzione della città di Spina nella Pianura padana dell'avanzato VI sec. a.C. può ritenersi la risposta etrusca a una sempre più ingombrante presenza greca nell'Adriatico settentrionale: in altre parole Spina rappresenta la prova tangibile dell'esigenza da parte degli etruschi padani di gestire direttamente gli scambi che si intrecciavano lungo la costa. Una comunità, quella di Spina, multietnica, dedita al commercio e dotata di una flotta che le consentiva di intervenire sul mare contro i pericoli della pirateria proprio perché ubicata a brevissima distanza dalla costa, sul quel ramo spinete del Po che, altrettanto agevolmente, le consentiva di intrattenere rapporti con l'interno del territorio. Più di quanto non avvenga per l'abitato, Spina è nota per la necropoli, che si estendeva tra la città e il mare. Dalle sepolture, databili in un arco di tempo di circa tre secoli a partire dalla fine del VI sec. a.C. e dai materiali che costituiscono i corredi funerari, risulta come il centro abbia raggiunto l'apice della sua fioritura tra il 450 e il 400. E' in tale periodo, ma soprattutto nell'ultimo trentennio del secolo, che a Spina giunsero vasi attici decorati di grande pregio e merci di lusso da altre lontane contrade. Le tombe di Spina hanno restituito il più ricco complesso di vasi attici figurati dell'Italia settentrionale, fatto dal quale si deduce quanto largamente e profondamente, e non soltanto in quel felice periodo, la "grecità" permeasse la società locale. Le semplici formule scrittorie a cui si fa ricorso nelle scarse epigrafi ritrovate negli scavi non gettano grande luce sulle realtà del quotidiano, sulla gestione della cosa pubblica o sulla sfera religiosa: tanto più, quindi, si è portati a ricostruire il "privato" dell'etrusca Spina secondo la luce un poco ingannevole che promana dal formidabile apparato iconografico che per Atene costituisce il suggello del proprio incontrastato primato ideale e culturale.